Taccuino personale di Francesco Canessa: MARTONE A PARIGI
Taccuino di viaggio di Francesco Canessa
Martone a Parigi
Il melomane errante si trova ancor una volta a Parigi, capitale teatrale di ogni tempo e subito si rifà della perdurante astinenza imposta in patria dal continuo rarefarsi dei prediletti spettacoli d’opera, per problemi di soldi e d’altro: un titolo al mese, se pure, un po’ di recite e via, a Milano come a Roma, o a Napoli, ove è sempre quaresima, pur se il suo tetro restaurato è bello come una pasqua. Si aggiunga che tra i malanni del Paese del Melodramma c’è anche l’esterofilia e mentre il suo massimo Tempio cancella Andrea Chenier (Giordano) e si consola con “Una casa di morti” (Janaceck) il nostro repertorio trionfa al di là del confine. A Parigi si proponevano Falstaff agli Champs Elysées e Don Carlos all’Opéra Bastille, teatro per raffinati l’uno e per passionali l’altro, in un unico Viva Verdi. Nel primo c’era da spellarsi le mani per i talenti nostrani di Mario Martone e dei suoi luogotenenti Sergio Tramonti, Ursula Patzak e Pasquale Mari, scenografo, costumista e mago delle luci, protagonisti in palcoscenico di un autentico trionfo. Nel programma di sala poteva leggersi come tutti sottolineassero con naturalezza le loro radici, Martone indicando una per una le esperienze che dal San Carlo l’hanno portato al successo internazionale nei teatri d’opera di Londra, Tokyo, Parigi.
E’ davvero un Falstaff scintillante, elegante e divertente, che insegue la sua morale (…Tutto nel mondo è burla!”) dalla prima all’ultima scena, così come dalla prima all’ultima nota, grazie alla direzione viva e brillante, persino rivelatrice di preziosi dettagli strumentali, di Daniele Gatti, sul podio di una compagine sinfonica d’eccellenza, l’Orchestre National de France. Il linguaggio interpretativo è moderno, ma senza forzatura alcuna, né di tempi, né di luoghi, con un solo carattere messo a nuovo, quello del personaggio di Alice Ford, che da compassata primadonna diventa la più scatenata e sbarazzina tra le allegre comari, vero motore dell’azione, che umilia e sbeffeggia Falstaff, ma del gioco si compiace e mette in campo femminilità e civetteria per mandar su di giri il povero grassone. Ne è interprete una deliziosa Anna Caterina Antonacci, che canta, recita, suona ( la chitarra, quando sir John le arriva in casa <dalle due alle tre>) felice di liberarsi della tragicità opprimente dei suoi consueti personaggi per esplodere nella grazia, nell’allegria, nella comicità d’una vera commediante. E che rende il suo ruolo protagonista, accanto a quello del titolo.
L’altro Verdi, il Don Carlos nella edizione italiana del 1884, regia di Graham Vick era – pensate un po’! – alla trentanovesima replica, ma l’enorme teatrone era di nuovo esaurito. Anche qui un direttore italiano, Carlo Rizzi e tre artisti di casa nostra in scena, il protagonista Stefano Secco, il Filippo II° di Giacomo Prestia e la Eboli di Luciana D’Intino, in forma smagliante. E due voci nuove per noi, entrambe strepitose: l’americana Sondra Radvanosky, Elisabetta, e il francese Ludovic Tézier, un marchese di Posa che non fa rimpiangere i grandi un tempo.
Francesco Canessa
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