Taccuino personale di Francesco Canessa:IL CALCIO E L’OPERA
Il calcio e l’opera
da l’Editoriale di Opera click del 4/2/11
Anche il vecchio melomane segue il calcio, non sarebbe possibile altrimenti con l’overdose di partite che ci coinvolge dagli schermi mattino, pomeriggio e sera. Ed è ormai assuefatto come gli altri a vedere le amatissime maglie indossate da calciatori che con la città e i colori che rappresentano non c’entrano nulla, mercenari della pedata che arrivano dal vecchio e nuovo mondo, scandinavi e africani, sloveni e sudamericani e c’è anche qualche giapponese, apripista di cinesi e coreani che non mancheranno di arrivare al più presto. E si entusiasma alle prodezze di questo o quel giocatore, segue con attenzione le dichiarazioni in approssimativo italiano che monotoni intervistatori gli sollecitano, non fa caso ai milioni che costano, né si preoccupa più di tanto se il commissario tecnico di turno stenta a formare la Nazionale, con i talenti indigeni che scarseggiano, sopraffatti dalla supremazia pedatoria dei conquistadores.
Va bene così, non ci rendiamo neanche più conto che Ibrahimovic malgrado il nome russo sia svedese o Cavani, malgrado il nome italiano, sia uruguaiano. L’uno rappresenta il Milan, l’altro il Napoli e giù applausi di milanesi doc e napoletani veraci. Si tratta, diremmo noi melomani, di “prime parti”, artisti di grido che nelle nostre favole preferite – così Ennio Flaiano giustificava le abitudini ripetitive degli appassionati d’opera – rinnovano le emozioni che ci aspettiamo e nel riprovarle non ci poniamo alcun problema se Mimì o Leonora, Rodolfo o Manrico siano bulgari o cileni.
A me diverte, seguendo il calcio, spigolare anche tra le formazioni delle squadre minori alla ricerca dei molti segnali che confermano come sia diventato una sorta di atteggiamento snob ingaggiare giocatori stranieri persino in Lega-pro. Leggo ad esempio di una squadra del Nord, il Lumezzane, che insieme a un po’ di promettenti giovanotti del bresciano manda in campo Emerson e Dadson tenendo in panchina un tal Galabinov, giocando contro la Salernitana, che schiera Jefferson, Szatman e Ayres. Ma nella stessa Prima divisione, credo che il record spetti al Sorrento, che ha il suo punto di forza nel goleador dominicano Paulo Sergio Betanin detto Paulinho, affiancato dal senegalese Abdoulage Niang, dall’argentino Horacio Nicolas Erpen e dal brasiliano Romulo Eugenio Togni. A rappresentare la stirpe calciatoria locale compaiono in formazione, per fortuna i nomi esemplari di Gennaro Ferrara e Antonio Esposito.
E’ soltanto voglia di apparire importanti agli occhi della loro tifoseria imitando i grandi clubs? O non influisce anche la pigrizia di direttori tecnici e dirigenti, sui quale hanno buon gioco i meccanismi di mediazione di procuratori, agenti, faccendieri e così via? Cercare direttamente talenti sui campetti di periferia, nelle scuole di calcio, nei settori giovanili dei club più avveduti, è impegnativo, faticoso, a volte rischioso.
Questo nel mondo del Calcio. Ma in quello dell’opera non succede lo stesso? Noi frequentatori lo sappiamo benissimo, ci godiamo i nostri Ibrahimovic e i nostri Cavani dell’ugola. Ma è difficile accettare senza rammaricarsi o pensar male che nei nostri teatri, siano essi di serie A di serie B o di Lega Pro vi siano stranieri anche nei piccoli ruoli.
Come nella “Forza del destino” di Parma, il cui cast presenta una Leonora greca, un Alvaro venezuelano, un Carlo di Vargas e una Preziosilla bulgari, si è andati a pescare lontano anche per il marchese di Calatrava, che nell’ecatombe dell’opera verdiana è il primo a morire, manco dieci minuti dopo l’apertura del sipario. Era il basso Ziyan Atfeh, che non so in quale paese sia nato, ma non certo nelle Terre Verdiane. E Mastro Trabucco, che nella scena dell’accampamento offre con voce lamentosa la propria merce (“A buon mercato chi vuol comprare, forbici, spille, sapon perfetto“) era impersonato dal tenore coreano Myung Ho Kim, proveniente dall’altra parte del globo.
E’ solo un esempio: divertitevi a spulciare le locandine dei Teatri italiani e sarà una sorpresa.
Francesco Canessa
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Taccuino personale di Francesco Canessa:LA CITTA’ NORMALE
LA CITTA’ NORMALE di Francesco Canessa
da Repubblica Napoli del 24/XII/2010
Giorni di festa, vetrine ed archetti multicolori illuminano le strade, c’è una folla di gente sorridente, la tendenza degli stati d’animo è temporaneamente invertita, i volti arrabbiati si contano appena. E’ una città finalmente normale, un piccolo sforzo e parrebbe recuperato il bene perduto della napoletanità gioiosa d’un tempo. Siamo in zona pedonale, si cammina a centro strada, anche perché i marciapiede sono una sola infilata di venditori di borse di marca taroccate, spille, collanine, braccialetti, orologi, magliette azzurre targate Lavezzi e Cavani, giocattolini roteanti o volanti, o di una strana pallottola gelatinosa che – squash! – si butta su un piano e si trasforma in una medusa spiaggiata, come quelle che l’estate scorsa ci hanno intossicato i bagni di mare. Estemporanei empori di extracomunitari intervallati da gruppi di Babbo Natale dal volto color mogano impegnati a suonare congas e makuta – tradizionali tamburi africani – in un allegro crepitio con cui accompagnano frasi scherzose e beneaugurati in approssimativo vernacolo nostrano. Napoli si riscopre maestra storica d’accoglienza, e sorride anche a loro, guarda la loro merce, ascolta i loro tam-tam. Ahimè la strada pedonale finisce però in un incrocio dal traffico demente e con esso si ritorna alla dura realtà d’ogni giorno. Ma un segno di continuità con la festosità di prima c’è anche qui, sul marciapiede lambito dalle auto strombazzanti due violini, un contrabbasso, una fisarmonica suonano musica allegra che tutti gradiscono e pochi riconoscono: le danze ungheresi di Brahms. E’ un gruppo dell’Est, un tempo facevamo musica da noi proprio così agli angoli delle strade, il <concertino> era il contraltare colto della <posteggia> napoletana, e il suo esempio d’arte è di scena in questi giorni al Mercadante, con “La musica dei ciechi” di Viviani. Il gruppo raccoglie un po’ di gente intorno a sé e nell’euforia attacca il valzer della Traviata: Libiam nei lieti calici! Ma ecco spuntare due vigili urbani senza divisa, con sulle spalle una provvisoria giacca a vento con fascia fluorescente, che zittiscono i musici e gli impongono di andarsene. Qualcuno degli astanti accenna una protesta, ma i solerti guardiani dell’ordine e della quiete replicano che quelli occupano abusivamente suolo pubblico e fanno troppo chiasso. Il redivivo <concertino> ripone gli strumenti e tristemente se ne va. Mentre tutt’intorno auto in divieto di sosta, clacson fuori misura e moto dai motori imballati osservano imperterriti le regole del caos. Era stata una illusione, la città normale resta una utopia anche nei giorni di festa.
Francesco Canessa
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